venerdì 20 dicembre 2013

Amico d'acqua, amico di terra - I Venerdì del Libro

Nel cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont, la storia di un bambino e del suo coniglio di pezza, trascinati dalle impetuose acque che travolsero boschi e villaggi, ci fanno rivivere gli attimi terribili di quella notte con una semplicità ed una delicatezza disarmanti, in maniera quasi onirica.

Bambino e coniglio si ritroveranno alla fine del libro, compagni per sempre uniti dal ricordo, amici che mai si separeranno, amici d'acqua, amici di terra.

Incisive le illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini.


"Un Bambino e un Coniglio, a volte, si perdono come biglie fuggite da una tasca, e si ritrovano, per sempre, come un bel ricordo all'alba. Non hanno mai imparato a nuotare, ma sanno scivolare, insieme, dalla foce fino a dove il fiume si fa mare."







"Quando la poesia, di parole e figure, sa rendere dolce una tragedia. Una storia vera scritta da Gabriele Clima e Alfredo Stoppa, con le illustrazioni di Sonia M.L. Possentini."

Questo post partecipa al Venerdì del Libro di HomeMade Mamma e alla Biblioteca di Filippo.

giovedì 19 dicembre 2013

Bulli e Pupe


Da tempo ormai la televisione (e quindi noi adulti che offriamo certi programmi) ha sdoganato e propone dinamiche interpersonali standardizzate, basate sulla (non so se reale o, anche lì, dopata) realtà dei licei americani, con la classica contrapposizione di un gruppo di teenager affascinanti e realizzati (col leader indiscusso e generalmente dispotico, i suoi "braccio destro" e "braccio sinistro" e i gregari) da una parte e lo "sfigato" di turno e due o tre amici suoi dall'altra.
Tutto intorno licei pieni di disinteresse, omertà e ignavia, quando non complicità.

Certo, gli sceneggiatori ci dicono che la vittima, il nerd, avrà poi la sua rivincita, ma non credo sia poi un così buon insegnamento.
Intanto perché, se e quando questa rivalsa avviene, avviene solo perché si scopre che in realtà l'emarginato eccelle segretamente proprio in quei campi che vengono considerati "importanti": la moda, l'estetica (ti sembra brutto/a perché porta gli occhiali, l'apparecchio e i vestiti non alla moda, ma poi, di nascosto, si trucca, si mette le lenti e qualcosa con un brand addosso et voilà! Ecco la trasformazione da bruco a farfalla!), il ballo o il canto.

Poi perché stiamo passando l'idea che questo sia l'unico modello comportamentale a disposizione.

Quindi i bambini, che non sono mica stupidi, sanno benissimo che il modello che gli stiamo proponendo è quello di "bello, ricco, alla moda" = "potente, ammirato". E sanno anche perfettamente che non ci crediamo nemmeno noi quando gli raccontiamo la storiella che la prepotenza non paga.
E si comportano di conseguenza.

Bambine di otto, nove, dieci anni ormai si rapportano agli altri basandosi su dinamiche malate, proposte da adulti ad un pubblico teoricamente adolescente, ma ormai dati in pasto senza alcun controllo critico già a bambine della scuola dell'infanzia, senza alcun controllo.

I bambini veri, quelli che ancora vengono cresciuti senza queste allucinanti proposte, non possono che soffrirne, perché non sanno come difendersi, non capiscono tali rapporti, non ne vedono (giustamente) il senso.

Ma anche questi poveri figli della televisione ne soffrono e ne soffriranno, per quanto in modo diverso, perché vengono privati di un'infanzia vera, pulita, sincera, naturale; un'infanzia in cui esistono, ovviamente, screzi, liti e piccole e grandi cattiverie, ma sono in qualche modo limitate e "spontanee".

Troppo spesso quindi sottovalutiamo i bambini e le nuove forme di bullismo e di rapporti (dis)umani che a volte creano perché non teniamo conto dei modelli sociali che gli presentiamo fin dalla più tenera età.

Gli adulti devono riprendersi il ruolo di educatori, guidando i bambini (e sé stessi) in una gestione pacifica dei conflitti, insegnando (e imparando) il rispetto, anche nei casi in cui una persona non ti piaccia.
Noi dobbiamo mostrare ai bambini altre possibilità, altri modelli, un'altra maniera di vivere in società. Un modo di rapportarsi migliore, meno prepotente e meno succube.

Dobbiamo gettare le basi per creare una società almeno un po' più giusta, perché provarci è il minimo.
Perché per migliorare il mondo si comincia dalle famiglie, dalle comunità, dalle scuole, dai paesi.

Perché non possiamo continuare a delegare e lamentarci: dobbiamo impegnarci per primi per migliorare.
Lo dobbiamo ai nostri figli e, perché no, a noi stessi.

domenica 8 dicembre 2013

Scardinare il bullismo.

L'educazione dei bambini passa per l'esempio dato loro. Questo ormai è assodato.
Ma evidentemente, quando la gente parla di volere un mondo migliore e più giusto, spesso lo fa a pappagallo, senza crederci realmente, visto l'esempio negativo di prepotenza, falsità, paraculaggine (si può scrivere "paraculaggine" su un blog? mha, io oggi sono così stufa che lo faccio) che molti genitori continuano a dare ai loro figli.




Mai avrei creduto di parlare di bullismo su questo piccolo spazio, ma ecco che da qualche giorno ho aperto gli occhi e ho smesso di sottovalutare quello che succede nei corridoi delle scuole e all'uscita delle lezioni e ho capito che di bullismo bisogna parlare già dalla scuola primaria, prima che le situazioni degenerino e senza nasconderci dietro ad un dito. 
Dire "è sempre stato così", "sono solo ragazzate", "ma sì, cosa vuoi, devono pur imparare a cavarsela!" fa male ai nostri figli e a noi.

Bisogna lavorare con loro su questi temi il più presto possibile, ma in maniera collettiva, su più fronti: insegnanti, genitori e alunni insieme.
Secondo me è necessario accantonare rancori personali e colpe, lasciar perdere momentaneamente l'indagine del chi ha fatto cosa e chi l'ha fatto per primo, per ragionare invece coi bambini di cosa può far soffrire, del perché ci si crede più forti quando si prevarica e di come questa sia solo una falsa forza, di come certi gesti e certi comportamenti creino un "circolo vizioso" difficile da interrompere, di come alla fine tutti ne risentano.

Bisogna comprendere con loro che il bullismo non è fatto solo di botte, ma anche di prepotenze verbali, di esclusione sistematica; di come chi vede e non fa niente per impedire le ingiustizie sia coinvolto e responsabile quasi quanto chi le ingiustizie le compie.

Analizzare e scardinare insieme a loro le gerarchie che si vengono a creare sempre più precocemente: quelle del prepotente e dei suoi gregari, di quello che ordina e di quello che ti sputa addosso al posto suo, di chi guarda in disparte e sta zitto, contento che non sia toccato a lui, di chi subisce; senza dimenticare chi si ribella ma, facendo lo stesso gioco a chi alza più la voce, a chi picchia più forte, a chi è più cattivo, accettando le crudeli regole e mantenendo in piedi questo sistema, passa inevitabilmente dalla parte del torto.

La prevaricazione e la sottomissione, l'altra faccia della medaglia, i nostri figli le imparano da noi, come imparano l'ignavia (anche se pochi conoscono la parola) l'omertà, il calcolo della convenienza. 
Ma possono imparare anche la giustizia, la cortesia vera -e non quella stucchevole falsità che ti permette di fare bella figura e salvare le apparenze-, la compassione, la forza di prendere le difese di chi ne ha bisogno, anche se non è il tuo migliore amico.

Possono imparare a non essere carnefici né vittime, possono imparare a tenere alta la testa anche quando hai paura e ti minacciano.

Noi glielo dobbiamo, loro hanno diritto di sapere che ci sono altre strade.
Anche se crediamo che la cosa non ci tocchi, non ci coinvolga.
E dobbiamo farlo presto, prima che questi atteggiamenti diventino l'unico modo che conoscono per rapportarsi agli altri, altrimenti non potremo mai avere la giustizia che tutti chiediamo a gran voce.

I nostri figli sono i politici di domani, i giudici di domani, gli adulti di domani.

venerdì 6 dicembre 2013

Dislalia? Sempre meno!

Per qualche mese non siamo più andati dalla Logopedista, ma a novembre abbiamo ricominciato con le sedute, per quanto siano piuttosto sporadiche anche a causa della distanza.
Anche se l'appuntamento è solo settimanale (e qualche settimana salta), recentemente la piccola Hilde ha fieramente conquistato due consonanti nuove, riducendo così sempre più lo scarto: le novità sono la "C" dolce e la "C" dura.

Non è stato facile arrivare a capire come insegnarle queste letterine, ma con l'aiuto di una paletta abbassalingua e di tanta comprensione (grazie, signora Logopedista!) ha capito il trucco ed ora, pian piano, le inserisce sempre più spesso nei suoi discorsi, badando bene a tenere la lingua abbassata.

Ovviamente, una volta che la consonante mancante è stata acquisita, bisogna continuare ad allenarsi perché il difficile è disimparare a pronunciare le parole in maniera errata.

Così si gioca, la si stimola, si cercano filastrocche e giochi linguistici, parole buffe o scioglilingua contenenti la letterina nuova.

"Ciccio Ciaccio
cuoce i ceci"

"O schiavo con lo schiaccianoci, che cosa schiacci? Schiaccio sei noci del vecchio noce con lo schiaccianoci."
(da qui)


mercoledì 4 dicembre 2013

Benvenuto, Messer Inverno.


Quassù nella casa di Hilde l'inverno è arrivato irruentemente già da un paio di settimane.
In una notte, 50 centimetri di neve hanno ricoperto ogni cosa che non fosse stata messa al riparo e nei giorni successivi un gelido vento freddo ha ghiacciato ed immobilizzato i fiocchi caduti compattando il manto nevoso.








Qualche ramo si è scrollato di dosso la candida coperta ed ora le bacche rimaste sulle rose canine e sui cespugli di cotognastro ornano il paesaggio, piccole gemme preziose di sopravvivenza per i minuti animaletti che ancora frequentano il bosco.

La piccola pista da sci di fianco a casa nostra aprirà a breve, per la gioia dei bimbi che adorano sciare.


La stufa a legna è tornata ad essere il fulcro della casa, abbiamo messo a riposo la piccola caldaia istantanea collegata alla bombola del gas e, per i prossimi sette mesi, sarà il calore della legna a produrre l'acqua calda necessaria alla famiglia.


Ricomincia la stagione delle torte e del pane cotti nel forno della stufa, dei pentoloni di ragù e dei bolliti lasciati sulla piastra rovente sopra al bel fuoco scoppiettante, del bollitore sempre pronto, della pentola a pressione che fischia allegra spaventando il gatto, che ha il vizio di andare a dormire il più vicino possibile al focolare.

Sentierini spalati nel prato collegano la casa ai cassoni con l'ultima, timida verdura, alla compostiera, alla legnaia ed al capanno di legno che ci serve da ripostiglio per quasi tutto, dalle conserve agli attrezzi.


Il sole ha ricominciato a splendere, facendo brillare i ghiaccioli e la neve cristallizzata sotto al cielo che ha assunto quell'inconfondibile azzurro speciale tipico dell'inverno.

Ci aspettano altri 6/7 mesi di nevicate.


Un cestino per la nonna


Dopo aver preparato il cesto per la nonna materna di Iuri, l'ho guardato attentamente e la semplicità del suo contenuto mi ha colpita.
Positivamente, ovvio.
Un senso di benessere e di orgogliosa pace ha invaso la mia mente ed il mio cuore nel rendermi conto dell'amore che impregnava quelle poche, semplici cose.

Una bottiglia (riciclata) con del brodo. Brodo fatto con le verdure del mio orto, le erbe aromatiche che ho raccolto qui intorno e i pezzi più "difficili" di una gallina del pollaio di mia suocera, più qualche ottima crosta di formaggio locale, ripulita e preziosa.

Un pezzo di crostata. Ho fatto la frolla col burro delle malghe locali e le uova delle galline della nonna e la marmellata con le pere e le mele che la nonna ha raccolto da un frutteto in stato di abbandono, più un pizzico di zenzero e di cannella del commercio equo. Ho rivisto con gli occhi della mente la nonna posare il bastone che l'aiuta a camminare sulla sua carriola e, con quella, avanzare lentamente alla ricerca dei frutti migliori; gesti antichi e per lei abituali, ma carichi di amore e rispetto e sapienza contadina.

Un sacchetto di cavolo cappuccio già tagliato a strisce sottilissime. Le piantine giovani che ho trapiantato nel mio orto mi sono state donate dalla "muma" (una parola che indica le prozie), che da sempre riproduce la semenza della varietà antica coltivata nel mio borgo.
La terra che coltiviamo era quella che l'altra nonna di Iuri, sorella di mia nonna, sfalciava decenni fa, prima di vendere a dei forestieri.

Un contenitore con le mie carote, cucinate in rondelline sul fuoco di pigne e legna che scalda la nostra casa.

Un sacco con le foglie più esterne dei cavoli, per le galline che ci forniscono le uova.

Un biglietto con poche parole d'amore, ché anche se la nonna fa la dura e non è abituata alle smancerie, io so che le faranno piacere, come ho provato piacere io nello scriverle.

Ecco. Tutto qui. Ma ho visto il vero valore di queste poche, preziose cose.
Cibi del suo paese, a lei che da più di sessant'anni vive fuori da qui, non lontano, ma in un paese diverso, con un dialetto diverso, con memorie diverse.
Cibi preparati con amore, che fanno parte di un circuito di doni e scambi ricchi di altrettanto amore.