venerdì 20 dicembre 2013

Amico d'acqua, amico di terra - I Venerdì del Libro

Nel cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont, la storia di un bambino e del suo coniglio di pezza, trascinati dalle impetuose acque che travolsero boschi e villaggi, ci fanno rivivere gli attimi terribili di quella notte con una semplicità ed una delicatezza disarmanti, in maniera quasi onirica.

Bambino e coniglio si ritroveranno alla fine del libro, compagni per sempre uniti dal ricordo, amici che mai si separeranno, amici d'acqua, amici di terra.

Incisive le illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini.


"Un Bambino e un Coniglio, a volte, si perdono come biglie fuggite da una tasca, e si ritrovano, per sempre, come un bel ricordo all'alba. Non hanno mai imparato a nuotare, ma sanno scivolare, insieme, dalla foce fino a dove il fiume si fa mare."







"Quando la poesia, di parole e figure, sa rendere dolce una tragedia. Una storia vera scritta da Gabriele Clima e Alfredo Stoppa, con le illustrazioni di Sonia M.L. Possentini."

Questo post partecipa al Venerdì del Libro di HomeMade Mamma e alla Biblioteca di Filippo.

giovedì 19 dicembre 2013

Bulli e Pupe


Da tempo ormai la televisione (e quindi noi adulti che offriamo certi programmi) ha sdoganato e propone dinamiche interpersonali standardizzate, basate sulla (non so se reale o, anche lì, dopata) realtà dei licei americani, con la classica contrapposizione di un gruppo di teenager affascinanti e realizzati (col leader indiscusso e generalmente dispotico, i suoi "braccio destro" e "braccio sinistro" e i gregari) da una parte e lo "sfigato" di turno e due o tre amici suoi dall'altra.
Tutto intorno licei pieni di disinteresse, omertà e ignavia, quando non complicità.

Certo, gli sceneggiatori ci dicono che la vittima, il nerd, avrà poi la sua rivincita, ma non credo sia poi un così buon insegnamento.
Intanto perché, se e quando questa rivalsa avviene, avviene solo perché si scopre che in realtà l'emarginato eccelle segretamente proprio in quei campi che vengono considerati "importanti": la moda, l'estetica (ti sembra brutto/a perché porta gli occhiali, l'apparecchio e i vestiti non alla moda, ma poi, di nascosto, si trucca, si mette le lenti e qualcosa con un brand addosso et voilà! Ecco la trasformazione da bruco a farfalla!), il ballo o il canto.

Poi perché stiamo passando l'idea che questo sia l'unico modello comportamentale a disposizione.

Quindi i bambini, che non sono mica stupidi, sanno benissimo che il modello che gli stiamo proponendo è quello di "bello, ricco, alla moda" = "potente, ammirato". E sanno anche perfettamente che non ci crediamo nemmeno noi quando gli raccontiamo la storiella che la prepotenza non paga.
E si comportano di conseguenza.

Bambine di otto, nove, dieci anni ormai si rapportano agli altri basandosi su dinamiche malate, proposte da adulti ad un pubblico teoricamente adolescente, ma ormai dati in pasto senza alcun controllo critico già a bambine della scuola dell'infanzia, senza alcun controllo.

I bambini veri, quelli che ancora vengono cresciuti senza queste allucinanti proposte, non possono che soffrirne, perché non sanno come difendersi, non capiscono tali rapporti, non ne vedono (giustamente) il senso.

Ma anche questi poveri figli della televisione ne soffrono e ne soffriranno, per quanto in modo diverso, perché vengono privati di un'infanzia vera, pulita, sincera, naturale; un'infanzia in cui esistono, ovviamente, screzi, liti e piccole e grandi cattiverie, ma sono in qualche modo limitate e "spontanee".

Troppo spesso quindi sottovalutiamo i bambini e le nuove forme di bullismo e di rapporti (dis)umani che a volte creano perché non teniamo conto dei modelli sociali che gli presentiamo fin dalla più tenera età.

Gli adulti devono riprendersi il ruolo di educatori, guidando i bambini (e sé stessi) in una gestione pacifica dei conflitti, insegnando (e imparando) il rispetto, anche nei casi in cui una persona non ti piaccia.
Noi dobbiamo mostrare ai bambini altre possibilità, altri modelli, un'altra maniera di vivere in società. Un modo di rapportarsi migliore, meno prepotente e meno succube.

Dobbiamo gettare le basi per creare una società almeno un po' più giusta, perché provarci è il minimo.
Perché per migliorare il mondo si comincia dalle famiglie, dalle comunità, dalle scuole, dai paesi.

Perché non possiamo continuare a delegare e lamentarci: dobbiamo impegnarci per primi per migliorare.
Lo dobbiamo ai nostri figli e, perché no, a noi stessi.

domenica 8 dicembre 2013

Scardinare il bullismo.

L'educazione dei bambini passa per l'esempio dato loro. Questo ormai è assodato.
Ma evidentemente, quando la gente parla di volere un mondo migliore e più giusto, spesso lo fa a pappagallo, senza crederci realmente, visto l'esempio negativo di prepotenza, falsità, paraculaggine (si può scrivere "paraculaggine" su un blog? mha, io oggi sono così stufa che lo faccio) che molti genitori continuano a dare ai loro figli.




Mai avrei creduto di parlare di bullismo su questo piccolo spazio, ma ecco che da qualche giorno ho aperto gli occhi e ho smesso di sottovalutare quello che succede nei corridoi delle scuole e all'uscita delle lezioni e ho capito che di bullismo bisogna parlare già dalla scuola primaria, prima che le situazioni degenerino e senza nasconderci dietro ad un dito. 
Dire "è sempre stato così", "sono solo ragazzate", "ma sì, cosa vuoi, devono pur imparare a cavarsela!" fa male ai nostri figli e a noi.

Bisogna lavorare con loro su questi temi il più presto possibile, ma in maniera collettiva, su più fronti: insegnanti, genitori e alunni insieme.
Secondo me è necessario accantonare rancori personali e colpe, lasciar perdere momentaneamente l'indagine del chi ha fatto cosa e chi l'ha fatto per primo, per ragionare invece coi bambini di cosa può far soffrire, del perché ci si crede più forti quando si prevarica e di come questa sia solo una falsa forza, di come certi gesti e certi comportamenti creino un "circolo vizioso" difficile da interrompere, di come alla fine tutti ne risentano.

Bisogna comprendere con loro che il bullismo non è fatto solo di botte, ma anche di prepotenze verbali, di esclusione sistematica; di come chi vede e non fa niente per impedire le ingiustizie sia coinvolto e responsabile quasi quanto chi le ingiustizie le compie.

Analizzare e scardinare insieme a loro le gerarchie che si vengono a creare sempre più precocemente: quelle del prepotente e dei suoi gregari, di quello che ordina e di quello che ti sputa addosso al posto suo, di chi guarda in disparte e sta zitto, contento che non sia toccato a lui, di chi subisce; senza dimenticare chi si ribella ma, facendo lo stesso gioco a chi alza più la voce, a chi picchia più forte, a chi è più cattivo, accettando le crudeli regole e mantenendo in piedi questo sistema, passa inevitabilmente dalla parte del torto.

La prevaricazione e la sottomissione, l'altra faccia della medaglia, i nostri figli le imparano da noi, come imparano l'ignavia (anche se pochi conoscono la parola) l'omertà, il calcolo della convenienza. 
Ma possono imparare anche la giustizia, la cortesia vera -e non quella stucchevole falsità che ti permette di fare bella figura e salvare le apparenze-, la compassione, la forza di prendere le difese di chi ne ha bisogno, anche se non è il tuo migliore amico.

Possono imparare a non essere carnefici né vittime, possono imparare a tenere alta la testa anche quando hai paura e ti minacciano.

Noi glielo dobbiamo, loro hanno diritto di sapere che ci sono altre strade.
Anche se crediamo che la cosa non ci tocchi, non ci coinvolga.
E dobbiamo farlo presto, prima che questi atteggiamenti diventino l'unico modo che conoscono per rapportarsi agli altri, altrimenti non potremo mai avere la giustizia che tutti chiediamo a gran voce.

I nostri figli sono i politici di domani, i giudici di domani, gli adulti di domani.

venerdì 6 dicembre 2013

Dislalia? Sempre meno!

Per qualche mese non siamo più andati dalla Logopedista, ma a novembre abbiamo ricominciato con le sedute, per quanto siano piuttosto sporadiche anche a causa della distanza.
Anche se l'appuntamento è solo settimanale (e qualche settimana salta), recentemente la piccola Hilde ha fieramente conquistato due consonanti nuove, riducendo così sempre più lo scarto: le novità sono la "C" dolce e la "C" dura.

Non è stato facile arrivare a capire come insegnarle queste letterine, ma con l'aiuto di una paletta abbassalingua e di tanta comprensione (grazie, signora Logopedista!) ha capito il trucco ed ora, pian piano, le inserisce sempre più spesso nei suoi discorsi, badando bene a tenere la lingua abbassata.

Ovviamente, una volta che la consonante mancante è stata acquisita, bisogna continuare ad allenarsi perché il difficile è disimparare a pronunciare le parole in maniera errata.

Così si gioca, la si stimola, si cercano filastrocche e giochi linguistici, parole buffe o scioglilingua contenenti la letterina nuova.

"Ciccio Ciaccio
cuoce i ceci"

"O schiavo con lo schiaccianoci, che cosa schiacci? Schiaccio sei noci del vecchio noce con lo schiaccianoci."
(da qui)


mercoledì 4 dicembre 2013

Benvenuto, Messer Inverno.


Quassù nella casa di Hilde l'inverno è arrivato irruentemente già da un paio di settimane.
In una notte, 50 centimetri di neve hanno ricoperto ogni cosa che non fosse stata messa al riparo e nei giorni successivi un gelido vento freddo ha ghiacciato ed immobilizzato i fiocchi caduti compattando il manto nevoso.








Qualche ramo si è scrollato di dosso la candida coperta ed ora le bacche rimaste sulle rose canine e sui cespugli di cotognastro ornano il paesaggio, piccole gemme preziose di sopravvivenza per i minuti animaletti che ancora frequentano il bosco.

La piccola pista da sci di fianco a casa nostra aprirà a breve, per la gioia dei bimbi che adorano sciare.


La stufa a legna è tornata ad essere il fulcro della casa, abbiamo messo a riposo la piccola caldaia istantanea collegata alla bombola del gas e, per i prossimi sette mesi, sarà il calore della legna a produrre l'acqua calda necessaria alla famiglia.


Ricomincia la stagione delle torte e del pane cotti nel forno della stufa, dei pentoloni di ragù e dei bolliti lasciati sulla piastra rovente sopra al bel fuoco scoppiettante, del bollitore sempre pronto, della pentola a pressione che fischia allegra spaventando il gatto, che ha il vizio di andare a dormire il più vicino possibile al focolare.

Sentierini spalati nel prato collegano la casa ai cassoni con l'ultima, timida verdura, alla compostiera, alla legnaia ed al capanno di legno che ci serve da ripostiglio per quasi tutto, dalle conserve agli attrezzi.


Il sole ha ricominciato a splendere, facendo brillare i ghiaccioli e la neve cristallizzata sotto al cielo che ha assunto quell'inconfondibile azzurro speciale tipico dell'inverno.

Ci aspettano altri 6/7 mesi di nevicate.


Un cestino per la nonna


Dopo aver preparato il cesto per la nonna materna di Iuri, l'ho guardato attentamente e la semplicità del suo contenuto mi ha colpita.
Positivamente, ovvio.
Un senso di benessere e di orgogliosa pace ha invaso la mia mente ed il mio cuore nel rendermi conto dell'amore che impregnava quelle poche, semplici cose.

Una bottiglia (riciclata) con del brodo. Brodo fatto con le verdure del mio orto, le erbe aromatiche che ho raccolto qui intorno e i pezzi più "difficili" di una gallina del pollaio di mia suocera, più qualche ottima crosta di formaggio locale, ripulita e preziosa.

Un pezzo di crostata. Ho fatto la frolla col burro delle malghe locali e le uova delle galline della nonna e la marmellata con le pere e le mele che la nonna ha raccolto da un frutteto in stato di abbandono, più un pizzico di zenzero e di cannella del commercio equo. Ho rivisto con gli occhi della mente la nonna posare il bastone che l'aiuta a camminare sulla sua carriola e, con quella, avanzare lentamente alla ricerca dei frutti migliori; gesti antichi e per lei abituali, ma carichi di amore e rispetto e sapienza contadina.

Un sacchetto di cavolo cappuccio già tagliato a strisce sottilissime. Le piantine giovani che ho trapiantato nel mio orto mi sono state donate dalla "muma" (una parola che indica le prozie), che da sempre riproduce la semenza della varietà antica coltivata nel mio borgo.
La terra che coltiviamo era quella che l'altra nonna di Iuri, sorella di mia nonna, sfalciava decenni fa, prima di vendere a dei forestieri.

Un contenitore con le mie carote, cucinate in rondelline sul fuoco di pigne e legna che scalda la nostra casa.

Un sacco con le foglie più esterne dei cavoli, per le galline che ci forniscono le uova.

Un biglietto con poche parole d'amore, ché anche se la nonna fa la dura e non è abituata alle smancerie, io so che le faranno piacere, come ho provato piacere io nello scriverle.

Ecco. Tutto qui. Ma ho visto il vero valore di queste poche, preziose cose.
Cibi del suo paese, a lei che da più di sessant'anni vive fuori da qui, non lontano, ma in un paese diverso, con un dialetto diverso, con memorie diverse.
Cibi preparati con amore, che fanno parte di un circuito di doni e scambi ricchi di altrettanto amore.

venerdì 29 novembre 2013

L'Alfabeto dei Sentimenti - I Venerdì del libro



Sonia MariaLuce Possentini è, a mio parere, una delle migliori illustratrici sulla scena nazionale.

Le sue immagini colpiscono dritte al cuore, realistiche come una fotografia, accurate nei dettagli come solo l'opera di un'artista dalla grande sensibilità e dalla intelligente curiosità può essere, in qualche modo anche romantiche.

I bambini disegnati sulle pagine di questo Abbecedario accompagnano le ventuno piccole, deliziose filastrocche (ma forse è più corretto parlare di poesia) scritte da Janna Carioli e dedicate ai sentimenti dei bambini, una per ogni lettera dell'alfabeto.

Un albo bello, veramente bello, e utile per parlare di Amore, di Paura, di Rabbia, di Curiosità, di Uguaglianza, in famiglia o a scuola.

"L'alfabeto dei Sentimenti",
Janna Carioli e Sonia M.L. Possentini.
Editrice FATATRAC



Porto questo illustrato al Venerdì del libro e alla Biblioteca di Filippo.

mercoledì 20 novembre 2013

Piccoli, grandi passi di Decrescita consapevole.

Scegliere consapevolmente una strada verso la Decrescita Felice ci ha permesso di non sentire troppo la "crisi" economica.
D'altronde noi stavamo già rinunciando a molte cose superflue (mica a tutto, però: abbiamo anche noi tenuto alcuni vizietti) e, anzi, nonostante abbiamo deciso che io lasciassi il mio lavoro "full time" per dedicare più tempo a figli e casa, siamo persino riusciti a risparmiare ed accantonare abbastanza da investire in migliorìe sulla nostra casa.

Siamo partiti praticamente dal nulla, con la fortuna di poter abitare per i primi anni nella mansarda di mia madre (quindi risparmiando sull'affitto) e qualche soldino accantonato, ma non certo grandi cose.

Nel giro di pochi anni abbiamo costruito una famiglia e una vita diversa da quella che vivevamo prima.
Non ci siamo mai fermati: serviva una caldaia nuova perché quella vecchia era capricciosa e consumava troppo? Perfetto, un po' di attenzione all'economia domestica e qualche taglio qua e là ed ecco fatto il lavoro. Un piccolo sacrificio ripagato con un risparmio sulle spese di riscaldamento.

La mansarda non era dotata di riscaldamento a legna? Ho preso di nuovo in mano l'agenda su cui segnavo entrate e uscite economiche al centesimo e, con qualche altra piccola rinuncia, ecco trovato il modo per risparmiare su qualcos'altro: in un paio d'anni il termocamino in maiolica si è ripagato, anche grazie al risparmio sul metano che ci ha permesso.
In più ci siamo goduti le fiamme vivaci nelle serate autunnali, i momenti romantici al calore arancione del faggio, i primi cibi cucinati nel forno a legna, il tepore asciutto e "vivo" del riscaldamento naturale.

E via di questo passo, taglia di qua, riduci di là, ci siamo abituati facilmente a vivere senza troppi oggetti superflui, a non andare più a bere il caffè al bar ogni giorno, a risparmiare su certe cose, a rinunciare ad altre.

Mi trucco solo in occasioni speciali e con poco, non vado da estetista e parrucchiere, non compro più scarpe inutili (ché tanto, con la vita che faccio, mi serve roba comoda e pratica, da usare fino alla distruzione!), i vestiti si utilizzano fino a farli diventare, letteralmente, stracci, utilissimi in officina.

La cosa più dura è stata rinunciare ai nostri frequenti acquisti di libri e dischi: i tagli alla cultura hanno colpito anche noi e abbiamo rinunciato a tre riviste mensili, ridotto all'osso la musica (ché tanto non abbiamo più tempo per ascoltarla in pace come piaceva a noi), dimezzato i libri in entrata, tolto dal carrello molti fumetti.

Contemporaneamente abbiamo comprato casa (piccola, purtroppo, ma così ci stanno meno cose e imparo a non accumulare troppo) e terreno, l'abbiamo ristrutturata facendo da soli tutto il possibile, attenti, come dicevo, al risparmio energetico ed al comfort (calore, luce naturale, giusto tasso di umidità, comodità): abbiamo trasformato un edificio terribilmente energivoro e freddo in una casetta calda, luminosa e con costi di mantenimento bassissimi.

Abbiamo riciclato tutto quello che potevamo, compresi i mobili: la mia cucina mi è stata donata, usata, da un fraterno amico che traslocava in una casa più piccola, ha fatto tre o quattro traslochi, è stata spezzettata e modificata, riassemblata e salvata. Ora alcuni pezzi li ho io, altri sono utilizzati da una famiglia di amici.
Questo mi fa felice, perché so di non aver sprecato risorse inutilmente e di non aver prodotto rifiuti; finché durerà la terrò cara, anche se non l'ho scelta io, ma ha un valore inestimabile perché quando cucino il mio amico Marino è con me nel dono che mi ha fatto, mio cugino Chicco che ci ha aiutati nel trasporto entra nei miei pensieri, ed è piena di ricordi felici.

I lavori continuano, mica sono finiti: si va avanti un passetto alla volta, secondo le nostre possibilità, comunque quest'anno abbiamo installato i pannelli fotovoltaici.

Così la nostra vita e le nostre abitudini non sono cambiate a causa della crisi, bensì noi ci siamo evoluti (ci stiamo evolvendo) e abbiamo cambiato stile per nostra scelta, una differenza enorme che consente di essere felici e soddisfatti.

Liquore al cioccolato: golosità per l'inverno.

Ieri il maltempo imperversava su tutta l'Italia.
Qui la pioggia si alternava a grossi fiocchi di neve, il prato davanti a casa era un pantano e il buio è arrivato presto.
Giornata ideale per stringerci tutti attorno alla termocucina, cuore pulsante della nostra piccola casetta: con una bracciata di legna si cucina, ci si riscalda, si produce l'acqua calda di cui abbiamo bisogno per lavarci e per scaldare i radiatori nelle camere e nel bagno. In più tiene compagnia con l'allegro scoppiettio del fuoco appena acceso.
Lì riuniti, qualcuno ha disegnato, qualcuno ha giocato con trenini e ferrovie di legno, qualcun'altro cantava, un po' hanno litigato e, tutti insieme, abbiamo fatto il liquore al cioccolato da regalare e offrire agli amici durante l'inverno.
Volete la ricetta?


Per farlo servono 2 dl di alcool alimentare,

100 gr di cioccolato fondente,
250 gr di zucchero,
5 dl di latte intero,
2 dl. di acqua,
una stecca piccola di vaniglia.

Fondere la cioccolata a bagnomaria dopo averla spezzettata grossolanamente.

A parte, far bollire l'acqua con la stecca di vaniglia e sciogliervi dentro lo zucchero.


In una pentola capiente dal fondo spesso portare ad ebollizione il latte ed unirvi, mescolando accuratamente, l'acqua zuccherata con la vaniglia e la cioccolata fusa.

Spenta la fiamma, lasciar riposare per 5 minuti, poi aggiungere l'alcool, sempre mescolando accuratamente.

A questo punto togliere la stecca di vaniglia se si vuole un aroma più delicato o lasciarla in infusione ancora per qualche giorno se si desidera un profumo più intenso (volendo si può sostituire la stecca con una bustina o una fialetta di vanillina).

Consiglio di assaggiare prima di imbottigliare, a seconda dei gusti si può aggiungere un po' di zucchero, allungare con un po' di latte bollito se si desidera una bevanda meno alcolico (non troppo, serve una percentuale di alcool decente per conservare il prodotto!) oppure aggiungere un pizzico di peperoncino.


venerdì 15 novembre 2013

La Bestia e la Bella - I Venerdì del Libro

Siamo nel periodo "De Mari", autrice che stiamo imparando ad amare un po' tutti in famiglia.

Oggi vi segnalo e porto al Venerdì del Libro questo bellissimo racconto, di un'intensità commovente.
Sin dalle prime pagine mi sono sentita coinvolta e, come spesso accade nei libri di questa scrittrice dalle molteplici esperienze umane, sono "entrata" nella storia anche con i sentimenti, che si sono fusi con quelli dei protagonisti per tutto il piacevole tempo della lettura.

La storia è quella di un viziatissimo ed ottuso principe, incapace di governare decentemente il suo regno come di rendersi conto della sua inettitudine.
Nel freddo e piovoso 12 novembre del 1623 (che coincidenza! ho iniziato a leggere questo libro proprio il 12 novembre), mentre lo stolto si scalda oziando davanti ad un camino acceso e mangiando pasticcini, qualcuno bussa alla sua porta: è una vecchia intirizzita che cerca solo un riparo per la notte, ma lui la scaccia impietosamente, innescando una serie di eventi che lo porteranno a riscoprire la compassione e l'amore e a migliorarsi ricordandosi il suo passato e guardando al futuro con la nuova conoscenza del mondo al di fuori delle mura del suo castello.

Perfette le (poche) illustrazioni, forse un po' cupe, ma "intonate" al testo.

Una favola dolce e profonda, la consiglio dagli 8 anni, ma è adorabile anche se letta da grandi.




domenica 10 novembre 2013

Un bel tacer non fu mai scritto.

La tecnologia è una gran cosa, così come la libera circolazione di idee e notizie, ma il rovescio della medaglia è che molti, troppi, si riempiono la bocca (e i blog) di fesserie, di opinioni personali spacciate per vangelo, di visioni distorte dalla più becera ignoranza.

Un blog lo può aprire chiunque ed è facile scriverci sopra qualche riga (è evidente, lo sto facendo pure io in questo momento!) e non starò qui a fare il predicozzo sulle cialtronate, scritte in maniera pessima e seguite da centinaia di followers, che imperversano sul web; sui blog commerciali in cui l'avverbio "sì" viene costantemente scritto senza accento e in cui le virgole vengono sparse a caso insieme a refusi e errori (orrori) ortografici: chissà quanti ne scappano a me, che non sono certo una professoressa di italiano o un'accademica della crusca!

Ma, perdio!, un po' di umiltà e buonsenso ci vorrebbero.
Se un argomento non lo conosci o lo conosci solo per sentito vagheggiare, magari al giornale radio o nelle rubriche dei TG, non puoi ergerti a giudice, non hai il diritto di spacciare le tue "verità" decorate da pessima ironia sparsa come zucchero a velo su di una torta un po' bruciacchiata; è spacciare malainformazione (peggio dell'ignoranza, a mio parere) improvvisarsi esperti di realtà di cui non si ha proprio alba e tanto meno comprensione.

Fatto: mi sono sfogata.

venerdì 8 novembre 2013

Corso di disegno per bambini - I Venerdì del Libro

Le Edizioni Del Borgo, prodighe di manuali stimolanti e ben fatti, hanno in catalogo diversi volumi che insegnano tecniche di disegno.    


Noi ne abbiamo tre, utilissimi per insegnare a disegnare ai bambini come alle mamme (o ai papà o alle maestre che vogliano imparare a tratteggiare figure morbide e simpatiche per allietare pargoletti ed alunni) in maniera semplice e divertente.

Con l'aiuto delle illustrazioni che mostrano passo passo come da ovali, triangoli, cerchi e parallelepipedi di base si possano trarre pinguini, trattori, alberi o topolini, si sviluppa presto una nuova consapevolezza di forme e proporzioni che consente di animare i fogli bianchi con grande ed immediata soddisfazione.

Qui nella Casa di Hilde li troviamo utilissimi:








Consigli di lettura #14 - Stephanie Plum

Lo ammetto.
O, come si dice adesso, faccio outing: ho sviluppato una sorta di dipendenza dai libri di Janet Evanovich con protagonista la più buffa, realistica, improbabile cacciatrice di taglie mai apparsa sulla stampa.

Lei, Stephanie Plum, è una trentenne americana proveniente da una folcloristica famiglia di immigrati (la nonna Mazur è ungherese); un po' "tamarra", un po' infantile, decisamente testarda e umanamente simile a molte sue coetanee reali.

Lui (perché, ovviamente, c'è anche un Lui) è un affascinante poliziotto italo-americano cresciuto con lei nello stesso quartiere, detto "il Borgo", del New Jersey, duro fuori e tenero dentro per piacere a tutte le lettrici e impegnato in un eterno tira e molla con Stephanie.

L'Altro (certo, non può mancare un' Altro!) è un autentico, sexi cacciatore di taglie, misterioso e forte, di poche parole e di languide occhiate, in grado di scombussolare i sentimenti e gli ormoni della protagonista e, talvolta, delle lettrici.

Poi ci sono le strane famiglie dei protagonisti, la nonna di Steph e la sua simpatica follia, gli imbarazzanti inviti a pranzo nel quartiere, l'impresario di pompe funebri e i "piccoli incidenti" che in ogni libro accadono durante qualche veglia, il viscido cugino Vince e la sua agenzia diprestiti per cauzioni, la segretaria tosta e l'ex prostituta (un'enorme donnone di colore con improbabili minigonne aderenti e squillanti) con la passione per le Glock.
Senza contare le auto. in ogni romanzo Steph ne distrugge almeno una!

Certo, questo mio vizietto lo condivido con parecchie persone: la serie in questione, arrivata in Italia all'ottavo volume (in America sono già al , è forse la più richiesta nella nostra piccola biblioteca comunale, da uomini e donne di ogni età. L'autrice riesce a catturare il pensionato settantenne che abbandona momentaneamente Grisham, ma anche madri e figlie adolescenti che divorano una dopo l'altra i capitoli dell'accattivante storia. Anche il mio barbuto e scontroso marito meccanico aspetta trepidante ogni nuova uscita!

La serie aveva già avuto un tentativo di pubblicazione in Italia, ma con altri titoli e altra grafica di copertina è stato un insuccesso interroto dopo pochi libri (questo conferma come ci lasciamo guidare dalle apparenze!).
Ora la pubblicano Salani e, di solito a distanza di circa un anno, anche l'economica Tea.
Lo so: è un'operazione editoriale smaccatamente commerciale, ma è così piacevole da leggere!

Buona lettura a tutti! Ci vediamo sul Venerdì del Libro.



















lunedì 4 novembre 2013

Luci ed ombre dell'educare.


Con un po' di giorni di ritardo rilancio l'argomento passatomi dalla mia nuova, preziosa amica Viviana.

Per scrivere sull'educazione bisognerebbe disporre di una rubrica a puntate anche perché, come scritto su Wikipedia, "L'educazione è l'attività, influenzata nei diversi periodi storici dalle varie culture, volta allo sviluppo e alla formazione di conoscenze e facoltà mentali, sociali e comportamentali in un individuo", quindi sarebbero molti gli aspetti da analizzare.

Sullo sviluppo e la formazione di conoscenze e facoltà mentali mi diverto un sacco con i miei figli ad imparare osservando, a fare ricerche, a spiegare, a collegare, ad analizzare, a trasmettere loro la curiosità, il piacere e il desiderio di conoscere.

Per il resto combatto quotidianamente una dura battaglia per mantenere l'equilibrio tra la Me stessa che desidera il pensiero critico e l'indipendenza per i propri figli - e crede di ottenerli con il dialogo e la fiducia- e il mio Io terribilmente severo ed esigente, quello con la fissa delle regole, quello intransigente, quello che pretende(rebbe) disciplina e ambisce alla perfezione (ma tanto sono una mamma imperfetta), che è poi quella parte di me ferocemente autocritica che mi porta a mettere più attenzione in quello che faccio e, quindi, ad ascoltare anche la Me stessa di cui sopra.

In pratica cerco di barcamenarmi, tra sensi di colpa terribili e sprazzi di malcelato orgoglio, nel mare di difficoltà che comporta l'essere genitori oggi.

L'idea che mi sono fatta è che alla nostra generazione venga chiesto molto di più che alla precedente, inoltre ci propongono e propinano decine di metodi educativi diversi, ognuno dei quali spacciato come l'Unico Giusto, ognuno dei quali tende a colpevolizzare e condannare ciò che è diverso.
Alla fine il rischio è quello di irrigidirsi in posizioni che non tengono conto del contesto in cui si vive, delle diversità naturalmente presenti tra un bambino e l'altro, della situazione famigliare e delle tante altre variabili che si possono presentare di volta in volta.

Quello che so, però, è che crescere dei figli significa crescere con loro.
Dedicare loro tempo, energie ed attenzione porta anche a migliorare sé stessi ed io sono grata ai miei tre figli per tutto quello che, a volte inconsapevolmente, mi insegnano.

Un'altra cosa di cui sono certa è che per me educare, nel senso sociale del termine, significa principalmente trasmettere compassione, rispetto, gentilezza; significa insegnargli a non prevaricare, senza per questo sottomettersi ai prevaricatori; significa stare alle regole, ma combatterle quando sono ingiuste, a costo di passare alla disobbedienza civile; significa far sapere che il potere è una cosa che puoi dare o togliere, che per questo i "potenti" non si devono temere; significa insegnare a ragionare anche sul lungo termine, sulle conseguenze delle proprie azioni.

A volte è snervante, più spesso di quanto si vorrebbe si sbaglia, in certi giorni ti senti a pezzi e ti verrebbe da piangere per quanto vedi tutto nero... ma, tirando le somme, l'impegno che si impiega nell'educare è ben ripagato dal vedere i bambini che, crescendo, sanno essere liberi conservando l'attenzione ai bisogni e alle esigenze delle altre persone (o piante, o animali), particolare di non poco conto, perché il rispetto per sé stessi non può essere svincolato dal rispetto verso gli altri.


Qui trovate l'elenco dei post su quest'argomento, aggiungetevi pure nei commenti.

Sara
Lunamonda
LibereLettere
Timo il Bruco
Latte&Champagne


Lancio la palla a Il mondo di Cì, a Voglio una mela blu e a My side of the lake, ovviamente senza obblighi.

Questo post partecipa all’iniziativa:



lunedì 28 ottobre 2013

Della Decrescita e dello scambio di vestiti.


Spesso mi sono chiesta chi diamine me lo fa fare di smistare ad ogni stagione scatoloni su scatoloni di vestiti usati: non farei prima a comprare lo stretto necessario, magari in quei grandi magazzini di moda economica sparsi ormai per tutta Europa...
 Mi eviterei la perdita di tempo (e di sanità mentale, c'è da dirlo) di guardare, rimettere elastici dove mancano, separare per età, per stile, tirare fuori e dentro da armadi, soffitte, garage (altrui, ché io non ne sono ancora fornita) le scatole, i sacchi e le valige.
Quando mi serve una giacca più grande non sarei costretta ad un'estenuante caccia al tesoro; quando arriva all'improvviso il freddo non perderei tempo a cercare dove diamine ho messo i dolcevita della taglia giusta (per poi, magari, trovarli troppo piccoli perché avevo fatto male i miei calcoli e i bambini non crescono in maniera così costante).
Talvolta mi basterebbe andare, munita di carta di credito -così pratica e leggera!- in un negozio e comprare la cosa che mi serve in quel momento, della taglia giusta e del colore adatto.

Ma, come al solito, c'è un ma. Ormai cominciate a conoscermi: tendo sempre a vedere i due lati della medaglia.
In questo caso, l'altro lato, se lo si pulisce da quella patina che fa molto anni '70 e dà un senso di vecchiotto, rivela splendenti gioie.

Prima di tutto, la gioia della condivisione: la felpa avuta dall'amico, ammirato e ormai arrivato alla scuola media, diventa un motivo d'orgoglio nell'indossarla; quelle gonnelline meravigliose ricevute dalla famiglia che abita laggiù ti fanno sentire un nuovo legame speciale con le persone che te le hanno donate; quell'abbondanza di stoffe colorate ci può offrire un piacevole senso di continuità.

In secondo luogo consideriamo, oltre al risparmio economico, il risparmio energetico e di risorse a livello collettivo: ogni abito "usa e getta" che non compriamo significa meno rifiuti, meno campi coltivati a cotone pieni di pesticidi (quegli stessi campi potrebbero essere valorizzati dalle popolazioni locali, di solito le più povere, per la produzione di cibo), meno acque reflue zeppe di porcherie chimiche che vanno ad inquinare le risorse idriche del pianeta, meno sfruttamento; in sintesi meno PIL, forse, ma davvero vogliamo credere che questo inutile e sciocco  indice di crescita sia così importante?

Da non sottovalutare, poi, che comprando meno prodotti di certe grandi catene si compie un passo in più verso la disincentivazione dello sfruttamento della manodopera a basso costo (che poi succedono le tragedie e tutti si indignano per un paio di giorni...).

Insomma, alla fine dei conti, continuo a frugare tra gli scatoloni, mettendo via per altre persone quello che c'è di troppo, scoprendo nuovi tesori con i miei figli, sfoggiando orgogliosi gli abiti già usati da qualcun'altro, consapevoli di dare una nuova vita a ciò che alle altre persone non serve più.
Certo, ogni tanto mi concedo un paio di acquisti, magari anche economici, magari di quelle grandi catene di negozi di cui scrivevo prima (mica sono una santa!), ma, finché avrò la fortuna di poterlo fare, continuerò ad affrontare le mie preziose giornate di colorata confusione tra magliette, giacche e pantaloni usati.

venerdì 25 ottobre 2013

LA RUOTA DEGLI ELFI - I Venerdì del Libro

Per il Venerdì del Libro di oggi ho pensato di proporre questo bellissimo libro di Janet Tyler Lisle.  

Hillary è una ragazzina della middle class, figlia unica di una ordinata e ordinaria famiglia, è curiosa e dotata di molta voglia di sognare.

Sara-Kate è la sua vicina di casa: i loro giardini confinano ma, mentre il padre di Hillary dedica il suo tempo libero alla cura quasi maniacale del loro spazio verde - in cui niente può essere più selvatico e persino l'edera che si arrampica sul piedistallo della vasca per gli uccellini è stata piantata e potata per ottenere quell'effetto -, il terreno adiacente è completamente selvaggio, trascurato e costellato di rottami e rifiuti ingombranti.

Sara-Kate veste male, Sara-Kate è irascibile, Sara-Kate, si mormora, ha rubato gli orrendi stivali di gomma che indossa ad un benzinaio.
Sara-Kate è diversa, quindi va tenuta alla larga, isolata, un po' anche temuta. 
D'altro canto, sembra che sia ciò che anche lei desidera.

Un giorno la strana ragazzina decide di condividere con Hillary il suo segreto: nel suo prato, tra gli sterpi e l'erba diavola, c'è un villaggio di elfi! Che sia proprio la mancata addomesticazione di quello spazio ad averli attirati?

La cura del piccolo villaggio, la fantasia dell'una e la sensibilità dell'altra avvicineranno le due svelando poco a poco il mistero che si cela dietro agli infissi chiusi della cupa casa di Sara Kate, fino all'epilogo un po' triste ma realistico.

Un romanzo che aiuta ad aprire la mente, lo propongo dagli otto anni in poi come lettura autonoma (ma lo leggano anche i genitori: è interessante poi confrontarsi coi propri figli sui pensieri e le emozioni suscitati dalla storia), anche prima se a leggerlo ad alta voce è un adulto.

giovedì 24 ottobre 2013

Il decalogo della Decrescita Felice,



1.  Accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani.

Ricollocare il più possibile l’economia nel territorio in cui si vive, chiedersi quanta strada ha fatto ciò che si sta consumando e chi lo ha prodotto, fare acquisti direttamente dal produttore e far parte di un GAS per minimizzare i chilometri percorsi dai beni tra produzione e consumo, stabilendo anche rapporti umani di amicizia e fiducia con chi produce.

2.  Riscoprire il ciclo delle stagioni e il rapporto con la terra.

Trovare il tempo per interrogarsi sulle qualità di ciò che si sta consumando e quale potrebbe essere l’alternativa più ecologica e salutare per soddisfare gli stessi bisogni.
Confrontare i propri ritmi con quelli della Natura, rallentare invece di accelerare, aspettare la stagione giusta per assaporare i frutti della terra nel momento in cui sono più saporiti e nutrienti.

3.  Ridefinire il proprio rapporto con beni e merci.

Sostituire il più possibile le merci con beni autoprodotti o scambiati all’interno di relazioni non mercantili, riportando alle sue dimensioni fisiologiche. 
Qualche esempio di sutoproduzione: yogurt, pane, dolci, liquori, ortaggi, conserve, sapone…

4.  Ricostruire le interazioni sociali attraverso la logica del dono.

Creare momenti comunitari di scambio di beni autoprodotti utilizzando la logica del dono, facendo attenzione a non cadere nella logica del baratto: il baratto è il precursore della moneta e quindi degli scambi
mercantili. Donare la propria esperienza e il proprio sapere agli altri, il proprio tempo e il proprio sapere aiuta a rendere consapevoli che c’è anche l’obbligo a restituire quanto si è ricevuto.

5.  Fare comunità.

Consolidare nel tempo le relazioni umane non mediate dal denaro e creare periodicamente le occasioni per fare in modo che le relazioni umane generate dall’economia del dono diventino il più possibile stabili nel tempo.

6.  Allungare la vita alle cose, rifiutando la logica dell’ultimo modello.

Adottare uno stile di vita che poggi sulle quattro “R”: riduzione, riuso, recupero e riciclaggio (non di denaro sporco, ndr;)) e impegnarsi a diffonderlo il più possibile, trattando le merci per quello che sono: un mezzo e non un fine.

7.  Ripensare l’innovazione tecnologica.

Adottare tecnologie che riducano il consumo di risorse naturali preferendo l’innovazione volta al risparmio invece che quella rivolta all’incremento dei consumi, interagendo con le imprese che aderiscono al MDF e propongono prodotti o servizi capaci di ridurre i nostri consumi.

8.  Esserci pesando il meno possibile sull’ambiente come forma di massimo rispetto per noi stessi e le generazioni future.

Ridurre il più possibile la propria impronta ecologica, facendo le stesse cose con meno cose ed evitando di fare ciò che non è strettamente necessario per il proprio benessere e per quello degli altri.
Ridurre l’impiego di mezzi di locomozione propri laddove possono essere sostituiti da mezzi pubblici o mezzi meno inquinanti, adottare e diffondere forme di trasporto condivise come il car sharing i il car pooling. Produrre e attuare un modello alternativo alle grandi centrali e al trasporto dell’energia su lunghe distanze, basato sulla produzione su piccola scala per l’autoconsumo e la vendita alla rete per l’eccedenza.

9.  Ridefinire il proprio rapporto con il lavoro.

Ridefinire il lavoro salariato come mezzo per soddisfare parte dei propri bisogni e non come fine della propria esistenza. Concepire il lavoro in generale come strumento per l’affermazione della dignità umana ma non come l’unica modalità di espressione della medesima, sperimentare stili di vita capaci di ridurre i consumi inutili e dannosi come presupposto per ridurre il temp dedicato al lavoro salariato necessario per pagarli.

10.  Diffondere i principi del Movimento per la Decrescita Felice in ambito politico.

Anche senza partecipare direttamente a competizioni elettorali o alla vita dipartiti politici, trovare le strade per fare giungere le idee e le proposte del MDF a chi ha il compito di governare il territorio in cui si vive.
Fare quella che si dice “la vita politica partendo dal basso”, dagli ambiti più vicini alla vita e ai problemi delle persone, organizzare incontri pubblici coinvolgendo i propri concittadini in battaglie specifiche evitando – sia ben chiaro - ogni tentativo di strumentalizzazione delle idee e delle proposte del MDF a fini elettorali.


http://decrescitafelice.it/


Ne parlo anche qui e sotto l'etichetta EcoLogica trovate anche la storia del nostro orto.





mercoledì 23 ottobre 2013

Cos'è la decrescita felice. Ma, sopratutto, cosa non è.

Leggo sempre più spesso opinioni furbescamente raffazzonate e descrizioni ignoranti ma ammiccanti che riguardano la decrescita; post che vorrebbero essere articoli smontano il movimento sostenuto da Serge Latouche come un'irritante utopia, irrealizzabile alla resa dei conti, o confondono la recessione, la perdita del lavoro, i problemi economici con la Decrescita.

Ma cos'è la Decrescita Felice? Cosa si prefigge il Movimento che la sostiene? Come si decresce?

Posto che non credo ci sia una ricetta valida per tutti, considerata proprio la natura di questa nuova/vecchia visione, comincerei col dire che cosa non è.

Decrescita Felice. Notare l'aggettivo che accompagna questo termine che indica una scelta.

Decrescita non è quando, costretti da un improvviso licenziamento e/o obbligati dalla maternità e dal conseguente mantenimento dei figli, si "tira la cinghia" sognando spese pazze e sospirando di rimpianto pensando alla propria vecchia vita da yuppie.

Decrescita non significa fare momentaneamente più attenzione all'economia domestica, sperando che tornino al più presto gli anni di vacche grasse.

Decrescita non può essere non uscire la sera a gozzovigliare o a ballare in discoteca bevendo cocktail alla moda solo perché si è diventati genitori.

Decrescita non è mangiare farro-kamut-bio-formaggi di capra perché fa molto eco-chic; non è imparare a tricottare per avere la scusa di fare shopping nelle mederne boutique di lane e filati; non è dedicarsi al decoupage o ad altre simpatiche (e trendy, perché non dirlo?) attività di "bricolage femminile" saccheggiando colorifici e grandi magazzini della manualità: questo si chiama shopping, come quello che si faceva prima, ma pitturato di verde (forse è bene puntualizzare che non ho niente contro queste attività: semplicemente non ritengo siano sinonimi di decrescita).

Quando leggete sciocchezze come "ma quanto è cara e triste la decrescita", sappiate semplicemente di essere di fronte all'uso sconsiderato di un termine su cui si sta facendo troppa confusione.

Io non sono certo una virtuosa in questo campo, ma posso dire di aver fatto insieme a mio marito una scelta di decrescita, ormai da quasi dieci anni, a volte facendo grossi passi avanti, altre un po' a gambero, ma sempre con consapevolezza.

La mia esperienza mi dice che è un processo piuttosto graduale, che non si può certo improvvisare, anche se questa non dev'essere la scusa per procrastinare.

Quindi, da oggi, vorrei aggiungere una piccola rubrica a questo mio blog senza pretese: cercherò di raccontare i nostri tentativi di Decrescita Felice (qui il decalogo) , non per arroganza, ma per condividere le nostre esperienze, quello che stiamo imparando, le difficoltà e le soddisfazioni di una scelta di vita che guarda al futuro.

E se qualcuno di voi volesse contribuire raccontandomi altri (s)punti di vista, ben venga!: potremmo creare un nuovo progetto di condivisione.

CONDIVIDI LA TUA DECRESCITA FELICE:
gioie e dolori di una scelta consapevole.

Dittonghi, iato e trittonghi: un aiuto per sillabare.

Visto che in famiglia siamo tutti presi dalla composizione giocosa di haiku, ho preparato un file con queste semplici tabelle, prendendo spunto dai vecchi testi scolastici di mia madre.

A volte viene qualche dubbio tra un dittongo e uno iato: un veloce ripasso non fa mai male!








martedì 22 ottobre 2013

Transumanza.

Da un paio di mattine il nostro risveglio è rallegrato dal belare delle pecore e delle capre, a volte sommesso, altre squillante, nelle varie intonazioni degli agnelli o di un caprone solitario.



I campanacci, che portano subito gioia.



Il ragliare improvviso degli asini, che sembra vogliano rispondere all'abbaiare secco come un rimprovero dei cani (bastardi, ma solo geneticamente, non come certi umani).



Ogni tanto i richiami gutturali e potenti dei pastori, i loro fischi variamente modulati, spezzano l'armonia dei suoni delle bestie e scombussolano il gregge, facendogli cambiare assetto per non farle allontanare o per spostarle in un pezzo di prato migliore.








Vedeste le corse di quei cagnoni -affettuosi e leali quanto severi e attenti- che radunano gli ovini facendo assumere alla massa bianca diverse forme, come in una meravigliosa coreografia!







Il sole inonda i campi, salendo oltre le cime; i colori brillano in tutte le loro sfumature, col giallo degli aceri e il rosso dei faggi, il verde chiaro dei larici e quello più scuro degli abeti.
Nel cielo, nuvole bianche portano la loro ombra su pendii e conche e pianori.



L'autunno non durerà ancora a lungo, le bestie vengono spostate in campi più a valle: la transumanza segna l'arrivo del freddo.

E noi ci godiamo gli ultimi pomeriggi di gioco tra le foglie.


domenica 20 ottobre 2013

Haiku e bambini.

Suppongo che ultimamente ne stiano parlando in tanti, anche perché lasciarsi contagiare dalla mania dell'haiku è facile e divertente, sopratutto se a veicolare l'idea di leggerissimi componimenti rilassanti ed estemporanei come un gioco sono uno scrittore accattivante del calibro di Pino Pace e delle blogger poliedriche e brillanti come Stima, Lunamonda e Anna Morchio.

Dal loro incontro (reale e virtuale) nasce un nuovo blog fresco e creativo, ispirato dal libro "Un gatto nero in candeggina finì", che stuzzica la fantasia di adulti e bambini.


Sì, perché gli haiku ("L' haiku è caratterizzato dalla peculiare struttura in versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe." cit.) possono diventare un passatempo e/o uno scacciapensieri da fare anche in compagnia dei bambini in età prescolare!

Ogni fenomeno osservato, ogni scorcio ammirato, ogni oggetto intorno a noi può essere il seme per un nuovo haiku, e nei bimbi si trova facilmente terreno fertile per coltivare la "poesia dell'essenziale".

Loro spesso sanno istintivamente sintetizzare, trarre il succo, catturare con lo sguardo e tradurre poi in concetti minimi la bellezza che li circonda; se poi gli dai la possibiltà di giocare in mezzo alla natura, la cosa risulta ancora più facile.
Portate i bambini al parco, nel bosco, nel giardino di casa, in campagna e fermatevi a cogliere particolari ed emozioni, chiedete loro di descriverli e aiutateli a trovare la metrica giusta: le diciasette sillabe diventeranno una compagnia abituale nelle vostre passeggiate.

In casa nostra l'haiku è diventato un esercizio tra il rilassante e lo zen per me; un buon ripasso (e approfondimento) per Harald che, forte dei suoi quasi otto anni, si incanta contando sillabe sulle dita e sfornando un componimento dopo l'altro come se fossero biscottini; ma anche un simpatico modo per osservare le cose insieme a Hilde che a cinque anni ha comunque capito la faccenda del suddividere le parole in tronconi che spesso risultano spontaneamente giusti, a volte invece sono un po' arbitrari e vanno corretti, ma, in ogni caso, si possono contare sulle dita delle mani per sentirsi un po' più grandi e un po' poeti.
A tutto questo si aggiunge il duenne Bjorn: sentendo tutto questo spezzare parole, blatera sillabe insensate alle orecchie dei più, con somma soddisfazione del suo piccolo-grande ego.

Il meccanico barbuto, invece, sarebbe tentato, ma dice che la puzza di gasolio e di limatura di ferro che respira in officina gli fa passare ogni ispirazione.
"Odore acre,
limatura di ferro:
povero Iuri!"

"Petali viola,
fiore dal lungo stelo
colto per mamma"

"Da un acero
una foglia per papà.
Gialla e nera"
                    (Hilde, con un po' di aiuto)


E se giocando e sillabando foste colti come me da improvvisi dubbi sul dittongo e lo iato, vi propongo un paio di schemini tratti dal libro di grammatica che usava mia madre alle medie (l'ho sempre avuto accanto, fin da quando la mamma mi aiutava con i compiti alle elementari) e, per i più moderni, un sito utile già segnalato da Ufo's Mum.




P.S. Anche le maestre della scuola di mio figlio hanno allegramente aderito al gioco: mi è bastato prestare loro il libro di Pino per coinvolgerle. In tutta la scuola ora si parla di haiku!