martedì 27 novembre 2012

UBUNTU.

Ubuntu è un concetto, un modo di pensare, un insieme di tradizioni. Ubuntu è una parola africana, bantu, ma lo stesso insegnamento è riscontrabile anche nella cultura buddhista e, credo, anche nel cristianesimo. Ed è un'idea che non stona nell'etica atea.
Ubuntu è come dire: "Io sono perché tu sei", Ubuntu, nigumuntu, nagamuntu, una persona è una persona a causa d'altri.
Ubuntu è collegato all'idea di gentilezza a casaccio, è offrire aiuto prima che venga richiesto, è "mettersi nei panni degli altri", è condivisione, è amore.
 
 
fratellanza


Trascrivo come esempio l'aneddoto di un antropologo che ha studiato a fondo queto tema in Sudafrica: un giorno lo studioso decise di mettere un cesto pieno di frutta vicino ad un albero, quindi attirò un gruppo di ragazzi con la promessa di regalare tutti i frutti a chi tra loro avesse raggiunto per primo il premio.
Quando diede il segnale, i bambini si presero per mano e corsero insieme. Giunti a destinazione, si misero in cerchio per godere comunitariamente il cesto di frutta promesso. Lo studioso chiese poi ai concorrenti perché avessero evitato la competizione, e tutti risposero insieme: Ubuntu! .

Quanto abbiamo da imparare da questi popoli che riteniamo primitivi, incivili! Non è però dissimile dal nostro antico concetto di "comunità", quello che abbiamo perso con il progresso, con la competitività ad ogni costo, con la falsa possibilità di vivere soli, senza legami con gli altri, ognuno nel suo piccolo recinto; a pensarci bene, è un sentimento che sopravvive ancora nel nostro essere, anche se l'abbiamo ormai sopito e messo a tacere con il "buonsenso" della modernità. Una parte di noi si ricorda, sa che siamo collegati al resto del mondo, che ogni cosa è interconnessa, che se facciamo del male, quel male tornerà a noi; sappiamo che se inquiniamo l'acqua moriremo di sete, che se soffochiamo la terra moriremo di fame, che se il nostro vicino sta male, noi non potremo star bene a lungo.
E dobbiamo sapere - non è possibile non rendersene conto- che i nostri pensieri, il nostro modo di essere, la nostra evoluzione personale, sono influenzati e plasmati dai rapporti avuti con altre persone; se io ragiono così è anche in virtù delle esperienze che ho vissuto in mezzo ad altre persone, ai libri che ho letto, alle opinioni che ho ascoltato, bone o cattive che fossero.

Io sono perché voi siete. Grazie a tutti.

(Sono debitrice verso molte persone per questo mio scritto, tra le altre: Faffa&Silvio per averne parlato
così spesso con me negli anni in cui abbiamo vissuto vicini e Giulio Albanese, al quale ho copiato pari pari
l'utopico aneddoto sui ragazzini e la frutta.)

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